Giovanni Buzi, Ritratto (1982)

 

Giovanni Buzi: La pazza, la serva e l’ispettore

Ha ricevuto il premio Chiosso 2010 con la motivazione : "Tenendo sempre presente il contesto teatrale, descrive con battute divertenti e personaggi  sopra le righe, una vicenda che, pur nella sua brevità, contiene tutti gli ingredienti dei gialli. Compreso il colpo di scena finale che permette all'ispettore di scoprire l'inganno".

 

Personaggi:
Madame
Teresina, la domestica

Salone decorato con mobili in pesante stile barocco. Dall’unica finestra uno splendido tramonto su Roma, con bene in vista la cupola di San Pietro. Al di sopra d’un caminetto di marmo rosso campeggia, in una vistosa cornice di legno intagliato e dorato, un ritratto a mezzo busto d’una bellissima donna con un vestito chiaro e lunghi capelli neri sciolti sulle spalle. Un divano e una poltrona sempre in stile barocco. Su un piccolo tavolo c’è un televisore spento.
Da una porta decorata con festoni di frutta e fiori sorretti da due putti, entra una signora che ha superato la cinquantina in un’appariscente vestaglia in seta con motivi giapponesi. Lunghi capelli neri sparsi sulle spalle.
A passi lenti, si dirige verso il caminetto, accende le tre candele nere d’un candeliere in argento. Sempre lentamente, va verso la finestra. Si ferma un momento a guardare fuori, poi chiude la tenda di raso bordeaux. Torna al centro del salone, accanto al caminetto. Solleva lo sguardo verso il dipinto, rimane qualche secondo senza parlare, poi prende da una tasca un fazzoletto bianco, ampio e leggero, se lo passa sotto agli occhi, lo tiene stretto tra le mani, e alzando un poco il viso verso l’alto dice:

 

Madame: - S’oscuri il sole!
Si spengano tutte le stelle!
Che il cielo si trasformi in un mare di ghiaccio!
Evapori l’oceano e resti agonizzante ogni pesce, ogni alga, ogni stella marina!
Si brucino le ali alle farfalle, gli uccelli precipitino in volo come pesi morti!
Cessi il vento, ed ogni albero perda foglie, fiori, frutti.
Siano greti secchi i ruscelli! I fiumi ferite nella terra, profonde, aperte, orrende, a giammai rimarginate!
Diventino lande desolate le verdi foreste, pianure devastate i campi di grano, colate di lava spenta le vallate, macigni che rovinano a terra le montagne, pozzanghere stagnanti i laghi! Avvizziscano le margherite, ogni rosa si sfogli, ogni orchidea scompaia per sempre dalla mia vista!...
Lutto!
Lutto perpetuo, da oggi alla fine dell’Eternità!
Si veli ogni lampada! Cessi ogni musica! Si riduca in frantumi ogni disco della Divina Callas!
Più nessuna nota, più nessuna voce potrà consolare il cuore mio...
Una pioggia di cenere cada su questi poveri, smunti, opachi, stoppacciosi capelli.
Scompaia all’istante ogni diamante, zaffiro, rubino, paillette, strass! Più nessuna materia rifletta la luce del giorno. Che il mondo sia ridotto ad un’immensa voragine senza suoni né bagliori.
Cessi, cessi questa commedia umana e divina!
Il silenzio, il ghiaccio, il buio, la disperazione regnino per l’Eternità ed Oltre.
Morto!!!
Morto.
Sepolto, giace da ore, interminabili, infinite ore, là oltre quella truce inferriata.
Invalicabile.
Tante lance infisse come frecce nelle carni pure di San Sebastiano! Spade acuminate affondate, una ad una, nel cuore della Vergine dei Sette Dolori!
Ora mio caro, per sempre albergherai in quel Sacro Bosco, in quel Santo Campo!
Mi hai lasciata, sola!, in questo mondo senza amore.
L’Amore, per me, eri tu!
Tu, ascensore per il Settimo Cielo ed Oltre!
Tu, luce dei miei occhi, sangue delle mie vene, calcio delle mie ossa!
Tu, che ora i vermi rosicchiano come topi formaggio.
Vano ricordo sono le tue dolci sembianze.
Ogni tuo vigore è a giammai spento.
Dove sei?
Dove sei...
(guarda intorno ai suoi piedi)
Caro amico, unica gioia della mia vita.
Scomparso!!
Scomparso!
Scomparso.
Avessero fatto esplodere il Colosseo, minato la Tour Eiffel, prosciugato le cascate del Niagara, distrutto le Piramidi, polverizzato il David di Michelangelo, ridotto al silenzio Mina, stracciato i sonetti di Catullo e Shakespeare, bruciato ogni pagina d’Oscar Wilde, perfino le Memorie d’Adriano della Yourcenar!
No, hanno voluto uccidere TE, la mia sola consolazione.
Investito, spappolato, stritolato sotto un enorme, gigantesco, mostruoso, indicibile camion, con tanto di rimorchio lungo così!
(apre le braccia in un teatrale abbraccio)
Mio solo, unico, meraviglioso, splendido, incomparabile... AMORE!
TU, che adesso di lassù mi guardi e m’invii un lieve, interminabile nevicar di baci!
TU: Gaspare!
(dicendo ciò, tira una cordicina rossa che pende ad un lato del quadro. Si srotola un dipinto che copre l’autoritratto della donna e compare il ritratto di Gaspare, un barboncino bianco)
Gaspare!
(quasi urla la signora trattenendo a stento lacrime e singhiozzi. Dalla porta compare la serva. Giovane e graziosa, vestita di nero, cuffietta e grembiule bianco)
Teresina: - Madame...
M. - Chi osa disturbare il mio Dolore?
T. - Madame, la prego non faccia così (la domestica fa un passo verso di lei). C’è di là un signore; vuole vederla.
M. - Non sono visibile.
T. - È la polizia...
M. - Fa lo stesso.
T. - Ma Madame...
M. - E va bene, ma 5 minuti 5.
(Madame si siede sul divano e accavalla le gambe. La domestica introduce l’ispettore, un uomo di mezz’età, calvo e con folti baffi neri)
Ispettore: - Signora, sono veramente desolato di...
M. - S’accomodi. (poco cordiale Madame)
I. - Mi spiace veramente disturbarla. Resterò non più di 5 minuti. (l’ispettore si siede su una poltrona accanto al divano su cui è la signora)
T. - Vi lascio. (la domestica con un accenno d’inchino)
I. - La prego resti. Dovrò fare qualche domanda anche a lei.
M. - Domande domande, cosa c’è da domandare; non lo sa forse che il mio adorato Gaspare è stato spiaccicato come un insetto? Vada a fare le sue domande a chi stava al volante di quell’orrendo, quell’orrendo... (Madame, presa dall’emozione, soffoca due singhiozzi nel fazzoletto)
I. - Capisco il suo stato, signora.  Ma è la procedura, poche domande e la lascerò tranquilla.
M. - Vuole sapere dove stavo all’ora dell’omicidio? Vuole forse sapere se ho un alibi? Non creda, non me ne perdo uno degli episodi del tenente Colombo, so come vanno queste storie!
I. - Oh, mi permetta, gentile signora. Quelle sono storielle da quattro soldi, quella è finzione, qui invece, purtroppo, si tratta del suo compianto coniuge.
M. - Quale coniuge?
(Madame visibilmente stupita. L’ispettore, guarda prima la signora, poi la domestica che atteggia il viso ad una mimica poco comprensibile)
I. - Ma signora... suo marito.
M. - Cosa c’entra mio marito in tutto questo? Le ha forse dato di volta il cervello? È il mio povero Gaspare che è passato, come si suol dire, a miglior vita. Eccolo lì, il mio angelo...
(indicando il ritratto del barboncino riprende a piangere. La domestica fa un segno discreto all’ispettore che s’alza e le va accanto. La domestica dice sottovoce)
T. - Signore, non ho avuto modo d’avvertirla.... Madame... Madame... crede che a finire sotto al camion sia stato il suo amato barboncino Fyffy.
I. - Ah!
T. - Sì, una cosa tragica, povera Madame... All’inizio non capivo quello che diceva... Mi ci è voluto qualche tempo... poi ho compreso: Madame crede che suo marito sia in vita e che a morire sia stato il barboncino. Assurdità del dolore!... Chissà quali circuiti nella sua testa hanno fatto tilt, il fatto è che quando vede dal vivo Fyffy, il barboncino, crede che sia suo marito e lo tratta come tale.
I. - No!
T. - È terribile, ma è così. Non ci crede? Adesso vado a prendere Fyffy.
(la domestica esce. L’ispettore torna a sedersi e guarda attentamente Madame che affranta sta ancora piangendo)
I. - Signora... signora...
M. - Sì...
(L’ispettore visibilmente imbarazzato non sa come continuare)
I. - Cara signora, capisco, è stato un duro colpo.
M. - Lo può dire.
I. - Deve farsi forza.
M. - È facile a dirsi.
I. - Capisco... ehm... mi parli un po’ del caro... estinto.
M. - Oh, amico mio, cosa vuole che le dica: era la luce dei miei occhi! È tutto, non ho altro d’aggiungere. Metta pure a verbale.
I. - La prego, può essere molto importante per le indagini. Mi parli dell’ultima volta che l’ha visto.
M. - Perché si diverte a torturarmi in questo modo terrificante? Le piace proprio infilzare e rigirare il coltello nella piaga? Ebbene, dato che è così crudele, le dirò tutto... Il mio Gaspare era un gioiello, una vera perla! Aveva tanto amore da dare, tanto! Non ne aveva ricevuto molto dalla vita, eppure... Un vero Dono del Cielo! La prima volta che l’ho visto stava là, accucciato in un’orrenda, squallida, piccolissima gabbietta del canile pubblico...
I. - Suo marito!
M. - Mio marito?!... Ho molta confusione nella testa, vedo ombre, apparizioni, luci... Lei chi è?... Ah sì, il caro ispettore. Il mio adorato Gaspare! Eccolo, eccolo lì.
(e stende un braccio in direzione del dipinto. Ritorna Teresina col cane tra le braccia - meglio un cane di peluche -)
I. - E quello chi sarebbe?
(l’ispettore indica il barboncino)
M. - Fyffy, finalmente sei qui e potrai mostrare tu stesso a questo cocciuto d’ispettore che sei la prova vivente del tuo stare in vita!
I. - Ma signora, quello è un barboncino!
M. - Badi a come parli, come si permette di dire una cosa simile? Certo, non sarà uno stinco di santo, ma dare del cane a mio marito, questo è troppo! Anche se, a momenti il mio Gaspare era negli... Lasciamo stare, questi non sono affari che la riguardano. E tu, non reagisci? (in direzione del cane)
T. - Madame, suo marito ha la laringite; non le può rispondere.
I. - Ma cos’è questa storia, volete mandare me al manicomio?
(la domestica s’avvicina all’ispettore)
T. - La prego, non torturi così questa povera donna!
(l’ispettore non sa che comportamento adottare. Madame si alza e prende il barboncino tra le braccia)
M. - Caro mio, com’è stato possibile? Questo tempo orribile! Sarà questo maledetto buco dell’ozono! Non le sembra anche a lei, caro signor Ispettore, che le stagioni non siano più quelle d’una volta? Prima l’estate era l’estate e l’inverno era inverno! Adesso!... Gesù che... sconquasso! (di nuovo rivolta al cane) Amore, vuoi che vada di là a farti io stessa una tisana? Vieni, vieni anche tu (e col cane sottobraccio si dirige verso la porta. Sull’uscio si ferma un momento e dice) Che malatempora!
(l’ispettore è rimasto pietrificato sulla poltrona. La domestica si siede dove prima stava Madame)
T. - Signor Ispettore crede che sia molto grave?
I. - Come?!
T. - Voglio dire, la povera Madame...
I. - Gentile signorina, io non sono un medico, ma... certo... a vederla così...
T. - Non la rinchiuderanno in un... oh... (la domestica si commuove, prende un fazzoletto e se lo passa sugli occhi) Sa, è stata tanto buona con me. Sono orfana di padre e di madre da quando avevo 6 mesi. Sono stata affidata ad una vecchia zia cieca... Per fortuna don Illuminato, il parroco del mio villaggio, è riuscito, a forza di raccomandazioni; sa non è facile oggigiorno trovare un posto da nessuna parte, neanche in un orfanotrofio...
I. - Signorina, sono molto interessato alle sue vicende biografiche. Moltissimo. Se vuole, un giorno di questi può passare al commissariato e lasciare una completa deposizione; abbiamo fior d’assistenti che sono lì per questo. Ma, in questo momento, mi sembra che la situazione della sua signora sia peggiore, non crede?
T. - In effetti. Come sono egoista! Mi dica, cosa vuole sapere?
I. - Quando la sua signora ha cominciato a... insomma... m’ha capito.
T. - Da subito. Voglio dire, da quando ha saputo la cosa. È venuta una persona della polizia ad avvertire dell’accaduto. Oh, è stato terribile! Vedo ancora la mia signora alzarsi da questo stesso divano e fare qualche passo per la stanza... degna, questo sì, assolutamente. Come sempre. Madame è una vera signora. È nata...
I. - Signorina... (sfiora un braccio l’ispettore alla domestica)
T. - Ah sì, mi scusi. Cosa dicevo?
I. - La sua signora era rimasta molto scossa.
T. - Molto sì. Per qualche istante sembrava non riconoscere le cose, questo salone che adora... sa, non esce molto Madame, ama una vita riservata e riceve pochissimo. Non è facile contenere in sé tanto dolore! Adorava il marito; forse l’intensità dello shock da... da... ah, signor ispettore, io non so proprio quello che sia successo nella sua mente, ma, mi creda, mi fa molto male vederla così. Perché, se non sono indiscreta, la vuole interrogare? Cosa avrebbe da dire Madame sulla faccenda? Lei era in casa al momento dell’accaduto; io posso testimoniare.
I. - Non ne ho il minimo dubbio. Ma...
T. - Ma cosa?
I. - Rimane il fatto che la sua padrona erediterà una fortuna. Ed è l’unica erede. Se tiene conto che aveva anche un buon movente...
(la domestica scatta in piedi)
T. - Buon cosa! Ma signore, che dice?
I. - Si calmi e si sieda. (la domestica si siede) Il marito di Madame aveva un’amante.
(la domestica scatta ancora in piedi)
T. - Signore, moderi i termini!
I. - Abbiamo le prove. Si sieda, la prego.
(la domestica si siede)
T. - Quali prove?... (molto stupita)
(l’ispettore prende una foto dalla tasca e gliela mostra)
I. - Questa è l’amante del signore.
(la domestica scatta di nuovo in piedi)
T. - È assurdo! Questa baldracca?
I. - Ma vuole restare seduta, sì o no? La conosce?
(la domestica resta in piedi guardando la foto)
T. - Eccome! Sapevo che fosse una poco di buono, ma arrivare a questo...
I. - Si sieda. Mi dica chi è?
(la domestica resta in piedi)
T. - Non mi dica che lei non lo sa? Si vede quasi ogni giorno là dentro. (indica in malo modo il televisore)
I. - Certo che lo so, ma lei, mi dica, l’hai mai vista in questa casa... Si sieda, la prego.
(la domestica resta in piedi)
T. - Sicuro che l’ho vista; è venuta 3 mesi fa ad intervistare il signore. Lei sa che il marito di Madame è... era un uomo molto in vista.
I. - Seduta! (col tono che si ha con i cani)
(la domestica si siede)
T. - Non posso crederci! Non ci crederò mai! Preferire questa... questa... lasciamo perdere, a quell’angelo di Madame: il fascino stesso, l’eleganza, la bellezza!... Ha visto che modi, che portamento, che incedere?... E poi lei, la vede ridotta così, poverina...
I. - Signorina, posso capire il suo stato, ma noi siamo quasi sicuri che le cose siano andate in questo modo: Madame è venuta a conoscenza della tresca del marito con la nota giornalista. Ha preso contatto, questo non sappiamo ancora come, con un killer che si è occupato d’investire il marito direttamente o incaricando qualcun altro di farlo. Madame, passato il dovuto momento di vedovanza, dopo aver ereditato una vera fortuna, fringuellina fringuellina, è libera come l’aria di volar via dove meglio crede... Ci manca solo un piccolissimo tassello per chiudere il caso.
T. - Quale tassello?
I. - La cravatta.
T. - Come?!
I. - La cravatta che il signore portava al momento dell’incidente. Madame non la conosce.
T. - Non è possibile! È lei stessa, da sempre, a scegliere ogni cravatta del signore; lei dice che il signore non ha per le cravatte quello che si potrebbe chiamare un perfetto buon gusto. Mi scusi, ma una come la sua, per esempio, non la comprerebbe mai.
I. - Perché, cos’ha che non va la mia cravatta? È di seta, elegante e discreta, mi sembra.
T. - Come direbbe Madame: “per essere veramente eleganti si deve essere riservati, ma non troppo, discreti, con misura, originali, quel tanto che basta, e se stessi, sempre”.
I. - E non sarebbe abbastanza riservata la mia cravatta? In ogni caso, lasciamo stare, ad avere importanza è la cravatta che portava il signore il giorno dell’incidente.
T. - Perché, che aveva di tanto strano?
I. - Madame non può conoscerla.
T. - Impossibile!
I. - È stata la sua amante ad acquistarla.
T. - Madame, e anch’io, conosciamo a memoria ogni cravatta del signore.
I. - È questo il tassello mancante. Mostreremo alla signora varie cravatte, alcune di suo marito, altre acquistate da noi, tra esse ci sarà la cravatta che indossava il giorno dell’omicidio, pardon, del presunto omicidio. Aveva dormito in questa casa il signore la notte prima dell’incidente?
T. - Certamente, dove vuole che abbia dormito?
I. - Dall’amante. Abbiamo trovato da questa signora vari indumenti che il marito di Madame non mostrava mai alla sua sposa. Era un piccolo segreto, un giochino che aveva escogitato la bella giornalista. Ce l’ha confessato lei stessa.
T. - Allora se Madame non riconoscesse la cravatta...
(entra Madame)
M. - Il mio povero Fyffy è distrutto! Gli ho preparato una tisana e l’ho messo a letto. Certo, anche lui è affranto per la sorte del nostro carissimo Gaspare... (e così dicendo s’avvicina al ritratto del barboncino. )
(Monologo a tre voci: Madame parla rivolta al ritratto del cane. L’ispettore s’alza e va sulla destra del palcoscenico, la domestica s’alza e va sulla sinistra)
T. - Come dire a Madame la faccenda della cravatta?
I. - Sono sicuro che non la riconoscerà. Questa pazza è troppo pazza per esser vera.
M. - Sigillata è la tua bara! Il tuo corpicino è già preda della decomposizione...
T. - Come dirglielo? Come dirglielo?
I. - Non m’incanti!
M. - Datemi un aspide: voglio morire come Cleopatra! Un coltello, una spada, una limetta per le unghie; qualsiasi cosa che tagli e penetri. Queste vene non vogliono, non possono più contenere una goccia di sangue.
Datemi il Castel Sant’Angelo: voglio buttarmi, precipitare come Tosca! Un castello qualsiasi, una villa di campagna, un casermone di Tor Bella Monaca!
Una fiala di veleno! Uno di quelli che fanno soffrire prima di lasciarti senza vita, che bruciano dentro e corrodono... Rantolare, urlare, torcersi e nelle contorsioni stracciare lenzuola, tende, tappeti. Voglio ridurre in mille schegge ogni coppa per champagne, ogni tazzina di Limoges, ogni vetro di Murano. Lasciatemi morire. Che vale ormai vivere? Che vale respirare?
T. - Forse esagera...
I. - Che teatrante!
M. - S - i - g - i - l - l - a - t - o. Il tuo corpo è sigillato in una bara. Una bara chiusa in una tomba di marmo. Una tomba circondata da cipressi e un’inferriata di lance. Lance d’acciaio alte più di due metri! Lasciate che mi ci trafigga! Penetrino nella carne le punte affilate e voli, voli l’ultimo respiro mio... in alto, in alto, fino a ritrovare almeno una parcella, un’infima molecola, un solo atomo di te, Gaspare!
T. - Esagera!
I. - Ah bella, ma chi ci crede!
M. - Dove ritroverò qualcuno come te? Non esiste al mondo, ne sono sicura... In quale luogo cercarlo, in quale Paese, in qual altra vita?...
Bastava che ti vedessi, che t’avvicinassi... e la pellicola che ricopre le cose si faceva chiara, traslucida e avevo l’illusione di capire, comprendere la struttura della materia, ogni segreto della Natura!
T. - Si prende per Albert Einstein, adesso!
I. - Che commediante!
M. - Gaspare! cos’è l’universo intero senza di te? È tornato ad essere quell’accozzaglia d’enigmi, quel pozzo senza fine d’ombre su ombre! Ed io qui ad annaspare in questa voragine senza nessun appiglio!
T. - Archimede Pitagorico!
I. - Cosa si deve sentire... Ah, avessi cercato un posto in banca, come voleva mio padre!
M. - Datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo! Ridatemi il mio Gaspare e il mondo per me non avrà più nessun segreto! Luce, Rivelazione, Musa Ispiratrice! Più splendente della luna è la tua anima, più biondo di Venere il tuo crine!
T. - Mostruoso ibrido di Giacomo Leopardi e Saffo!
I. - C’è un limite a tutto! E tutta questa commedia per cosa poi? Per i soldi, come sempre, i soldi.
M. - Morto. Finito. Terminato.
Scomparso come un po’ di cenere al vento.
Svanito come nebbia.
Ma, a volte, nelle penombre, là in un angolo, ho l’impressione, quasi la certezza di veder brillare i tuoi occhi. A momenti, mi sembra di sentire quel profumo d’acqua di Colonia col quale ti vaporizzavo... Vedo ancora quel lampo blu, quello sprazzo d’energia, quell’effimero alone che lasciava nell’aria ogni tuo movimento!
T. - Completamente fusa!
I. - Ma quand’è che la finisce?
M. - Con te, tutto è finito!
Finito.
Ricordo ancora quando andavamo di sera a passeggiare a Villa Borghese...
Finito il gorgogliare delle fontane, l’odore dell’erba al tramonto... Finito il frusciare ovattato degli uccelli, il respiro del vento, il cadere della pioggia sulle foglie. Il riecheggiare dei tuoni e quella sensazione unica d’esser sospesi lassù tra cielo e terra, in bilico tra il bianco della luna e i marmi di templi morti.
Finito. Finito. Finito.
Possono ormai riposare i fantasmi, tacere le ombre, dormire per sempre gli spiriti dei mirti. Non più si materializzeranno agili i Satiri, pavide le Ninfe. Più nessuna Dafne si trasformerà in arbusto, nessun candido, levigato Apollo le rincorrerà. Il marmo resterà marmo, le foglie, foglie, terra la terra.
D’ora in poi gli incantesimi, le divine metamorfosi si compiranno in silenzio, lontani, celati per sempre ai tuoi occhi.
T. - Decisamente... oltre.
I. - Anche un impiego alle poste non sarebbe stato male...
M. - Ricordo di quando mi saltavi sulle ginocchia e mugolavi... Che volevi? Una sola carezza. Il solo contatto della mia mano ti bastava. Sentire che esistevo, che ero là accanto per te era la felicità.
E la mia.
Tutto ciò che volevi dal mondo: starmi accanto.
Guardando i tuoi occhi, mi sono accorta di quanto poco valore hanno le parole. Quel tuo sguardo era un messaggio arcano che io capivo, capivo senza poter spiegare, senza poter tradurre. Come si fa a tradurre il linguaggio della pura luce, del puro oro dei tuoi occhi?
I. - A proposito di colore, signora, si ricorda per caso il colore della cravatta che suo marito aveva la mattina dell’incidente?
(l’ispettore fa due passi verso Madame, che fortemente perturbata, si gira a guardarlo senza dare segni di riconoscerlo)
T. - Madame, come sta?
(fa due passi verso di lei anche la domestica)
M. - Cari... chi siete?...
T. - Venga Madame, venga a sedersi un momento.
(la domestica, dà uno sguardo di rimprovero all’ispettore, va incontro alla sua signora e l’aiuta a sedersi sul divano. Lei resta in piedi)
I. - Allora, non ricorda?
T. - Signore, non vede in che stato si trova questa povera paz.. questa povera donna? È dunque tanto crudele?
I. - Mi dica il colore della cravatta e me ne andrò in un secondo.
M. - Cosa dice?... Cosa vuole?... Chi è?
T. - Non l’ascolti.
M. - Il mio povero Gaspare, il mio adorato barboncino...
I. - Ecco, mi saprebbe dire il colore del collare del suo amato cagnolino, il giorno del tragico incidente?
(Madame cerca di fissare lo sguardo verso l’ispettore, vorrebbe dire qualcosa, ma sviene)
T. - Madame! Guardi che ha combinato! Sarà contento, spero!
I. - Bene, me ne vado, ma darò presto mie notizie!
(l’ispettore se ne va richiudendo la porta. Com’è uscito, Madame spalanca gli occhi, solleva collo e schiena)
M. - Allora, come sono andata, ho recitato bene?
T. - Mbèh...
M. - Come mbèh, non sono stata credibile come pazza?
T. - Per questo, anche troppo...
M. - Troppo? Non è mai troppo quando s’è pazzi!
T. - Quel tipo non m’è sembrato tanto convinto... E poi, hai sentito la storia della cravatta?
M. - Sono svenuta proprio per non rispondere.
T. - Sanno tutto.
M. - Tutto che?
T. - L’amante. E pensano seriamente che sia stata tu a contattare un killer.
M. - Ma quello l’hai fatto tu?
T. - Di me non sospettano ancora. Almeno credo.
M. - Come hanno fatto ad indovinare?
T. - Non hanno indovinato niente, è quella strega della giornalista che ha parlato. (occhiataccia al televisore)
M. - Che zoccola! Ero sicura che fosse andato tutto liscio... Ma non disperiamo, amore, non hanno nessuna prova; vieni qui tra le mie braccia, tutta quell’assurda scena l’ho recitata per te, per noi!
(la domestica sorride amorevolmente e si getta nelle braccia di Madame)
(Toc toc alla porta. Fa capolino l’ispettore)
I. - Scusate signore, ho dimenticato di dirvi una cosa : era questo il collare di Gaspare!
(mostra ciondoloni una cravatta, proprio quella che lui stesso portava poco prima)